Benessere lavorativo. E il non profit a che punto è?

L’idea di avviare una riflessione sul mondo del lavoro nel non profit viene dalla lettura del saggio Tutta questione di Benessere curato da Elisabetta Dallavalle, incontrata per una combinazione fortuita ma con la quale si è instaurata subito una grandissima intesa. Forse per la grande passione che trasmette quando parla di organizzazioni aziendali e di ambiente di lavoro, forse perché il tema del benessere lavorativo è qualcosa che nel non profit è ancora molto lontano dall’essere affrontato in modo serio. Forse per tutte queste ragioni è nata l’idea di approfondire il tema in un’intervista e poi con alcuni colleghi del terzo settore incontrati in questi ultimi 20 anni.

Non è facile per chi lavora nel non profit affrontare il quotidiano. Inerzie, attriti, differenze culturali, benefit quasi inesistenti, welfare non contemplato.

In particolare alcune figure specifiche come il fundraiser, che lavora per la sostenibilità economica dell’Ente, vive quotidianamente sotto pressione per la continua richiesta di risultati. Il fundraiser è una sorta di figura “commerciale”, che deve avere forti competenze di comunicazione, capacità ci engagement sia del team di lavoro, sia dei pubblici di riferimento da coinvolgere. Un lavoro che richiede competenze tecniche e soft skill.

Alcuni dati* che giungono da oltre Oceano evidenziano questa difficoltà: il 51% dei fundraiser ha dichiarato che intende lasciare il lavoro prima dei due anni. Le ragioni? Insoddisfazione, mancanza di apprezzamento del lavoro che viene svolto, mancanza di tempo per coltivare la relazione con i donatori e così via.

Ma vediamo nel dettaglio il tema del benessere lavorativo.

Elisabetta, partiamo dal tema generale, benessere lavorativo, che definizione gli dai?

Benessere lavorativo è l’espressione del far fiorire le persone nel contesto lavorativo che si traduce in Benessere Organizzativo e Benessere Sociale. Il collaboratore di una Organizzazione è esso stesso un cittadino del nostro Paese. Permettergli di sentirsi bene al lavoro, nella propria interezza, con le proprie diversità sostenendolo per il patrimonio, i sentimenti e le emozioni che porta all’interno dell’Organizzazione, permette all’Organizzazione di essere Positiva e di ottenere risultati che superano di gran lunga le aspettative.

Come le imprese si stanno muovendo per generare benessere per i propri collaboratori e dipendenti nell’ambiente di lavoro?

Da diverso tempo all’interno delle varie Organizzazioni c’è grande fermento sul tema, inteso come pratiche di #Welfare Aziendale sostenute dalla legge di Stabilità del 2015 e implementate attraverso le piattaforme di Flexible Benefits. I temi trattati sono diversi e diversificati in termini di progetti e soluzioni: si va dalla cura parentale, cura degli anziani, al sostegno alla genitorialità, alla salute e per il tempo libero, dai corsi di formazione per i lavoratori sino a quelli dedicati ai figli e familiari, alla promozione di pratiche di conciliazione vita lavoro.

Il tema del benessere è entrato nelle aziende collegato strettamente agli sgravi fiscali introdotti con le leggi di Bilancio a partire dal 2015. La legge ha agevolato molto questo passaggio per i temi relativi al welfare. Ma ha cambiato veramente le cose? Il wellbeing non è solo welfare.

Si, come indicavo c’è stata una forte accelerata dei piani di Welfare in cui il ruolo delle Aziende è sempre più centrale e direttamente correlato all’attuale sistema di Welfare State attuale. Stiamo infatti assistendo ad uno spostamento da un modello di welfare assistenzialista basato sull’intervento unico dello Stato ad un modello di welfare mix o di welfare society – fonte Alessia Coeli, Tutta Questione di Benessere, Licosia 2019.

Detto questo, ciò che preme sottolineare è che il fare il Benessere delle Persone o come dir si voglia occuparsi di Wellbeing Organizzativo non è solo welfare. Come meglio ci insegna il Prof. Stefano Zamagni, “ non è vero che il lavoratore è unicamente interessato alla remunerazione che riesce a conseguire. Il che significa che la felicità c’entra non solo con la sfera del consumo ma anche con quella della produzione…”

“Il rischio – prosegue il prof. Zamagni – “quello di non occuparsi a tutto tondo del benessere delle persona, è quello di generare l’autoasfissia organizzativa di certi luoghi di lavoro che è poi all’origine di dissonanze cognitive sviluppate dai lavoratori, le quali finiscono per alterare le relazioni sociali degli stessi. Ogniqualvolta l’agire non è vissuto come propria autodeterminazione e quindi come propria auto-realizzazione, esso cessa di essere umano.”

Da qui si comprende perché sempre più dobbiamo guardare alla progettazione del Benessere della persona come ad un eco-sistema delle Organizzazioni che permetta di far fiorire le persone.

Il Terzo Settore oggi è costituito da 336.275 organizzazioni non profit attive (dato Istat al 31 dicembre 2015) che contano sul contributo lavorativo di 5,5 milioni di volontari, 788 mila dipendenti e 294 mila lavoratori esterni).**

Realtà piccole poco strutturate per lo più, ma anche aziende che arrivano a impiegare 500 persone. E’ un mondo caratterizzato da grande biodiversità. Vi convivono aziende non solo di ogni dimensione ma anche con grandissime differenze sia a livello di estrazione settoriale che culturale. In alcune realtà si sta facendo grande innovazione sociale, attraverso un dialogo aperto tra chi fa business (le imprese) e chi il Welfare lo “produce” ogni giorno (in particolare il mondo della cooperazione sociale). In altre ci si trascina in modelli antiquati e obsoleti.

Come pensi si potrebbe introdurre il benessere lavorativo in questo settore?

La persona è persona ovunque essa svolga il proprio impegno lavorativo e/o di volontariato. Il tema tocca tutte le organizzazioni, infatti parlo sempre di organizzazioni rispetto alle loro diverse sfaccettature sia che esse siano pubbliche, private, profit o non profit, in ambito scolastico e/o educativo.

Credo fondamentale agire un reale cambio culturale al tema, il Benessere è di tutti, è un tema sociale e per questo è necessario, oggi, più che mai, prendersene cura e agirlo con grande professionalità e attenzione.

Gli studiosi ci evidenziano un trend tutt’altro che rassicurante riguardo la produttività dei lavoratori e il livello generale di soddisfazione, coinvolgimento e fiducia.

  • Secondo Gallup l’87% dei dipendenti è demotivato, con una perdita di produttività di 500 miliardi.
  • La Harvard Medical School ha indicato che il 96% dei leader sperimenta il burnout.
  • L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha affermato che la depressione è la principale causa di disabilità in tutto il mondo.

Queste tendenze sono direttamente collegate al basso livello di coinvolgimento dei dipendenti che, a sua volta, si traduce in una perdita di entrate del 32,7%, un 37% in più di assenteismo e il 49% in più di incidenti sul posto di lavoro.

Ecco perché è importante che i leader considerino il tema del Benessere e Felicità come un investimento per il futuro benessere della propria azienda, un investimento strategico per acquisire strumenti e procedure operative di valore che aumenteranno efficienza, efficacia e performance delle organizzazioni in cui operano. (vedi A )

C’è un punto molto interessante nel tuo libro che potrebbe rappresentare l’anello di congiunzione tra settore profit e non profit. Si parla di felicità pubblica come prerogativa per il benessere individuale. L’approfondimento intervento di Antonella Chiusole sulla felicità pubblica per la realizzazione del benessere individuale. Ce ne vuoi parlare?

E’ proprio così, come descrive Antonella Chiusole nel suo contributo, il lavoratore felice produce di più e meglio, tanto banale quanto potente. Non è solo una questione di buon senso, come testimoniano anche Veruscka Gennari e Daniela Di Ciaccio – “La Scienza delle Organizzazioni Positive, Franco Angeli 2018 – (vedi B) nel loro ultimo studio emerso analizzando le più importanti ricerche condotte negli ultimi dieci anni, supportate da scoperte scientifiche in ambito neuropsicologico , biologico e fisico, tutte testimoniano che la positività e il benessere “pagano” e migliorano tutti i risultati di performance e business, a livello individuale e collettivo, economico e sociale.

E’ reale l’esistenza di una correlazione molto stretta tra pratiche di lavoro positive (orientate al rispetto e cura delle persone) ed effetti sui lavoratori, in termini di soddisfazione personale e benessere e che, a loro volta, innescano comportamenti individuali positivi come il coinvolgimento, la fiducia, la retention.

Il Terzo Settore deve compiere grandi passi avanti su questo tema. Come possiamo contribuire positivamente affinché il tema venga introdotto?

A mio parere si potrebbe fare sinergia, attraverso figure come la mia, di Advocacy del Benessere. Al tempo stesso, con competenze acquisite come Welfare Manager e Chief Happiness Officer, (VEDI C) che sia posta al centro in rete e relazione, magari temporary in condivisione con le diverse realtà, stando in ascolto per poi progettare organizzazioni positive, taylor made, cioè che rispondano esattamente ai bisogni dei singoli e delle diverse realtà territoriali del terzo settore.

 

 

 

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