La parità di genere nel Terzo Settore: non basta crederci, bisogna costruirla
Nel Terzo Settore siamo bravi a raccontare i valori. Inclusione, giustizia, partecipazione, equità. Sono parole che scriviamo nei bilanci sociali, nei progetti, nei post su Instagram. Ma quando si entra nelle stanze dove si prendono le decisioni, le cose cambiano. E se ci fermiamo a guardare chi siede davvero a quei tavoli, la parità di genere diventa qualcosa di molto meno teorico.
Presenza sì, potere no
La verità? Le donne ci sono, eccome. Nel Terzo Settore rappresentano la maggioranza delle operatrici, delle educatrici, delle assistenti sociali, delle fundraiser. Il motore quotidiano di moltissime organizzazioni. Ma quando si tratta di guidare, di decidere, di rappresentare, le cose si fanno più complicate. I ruoli apicali restano, in gran parte, in mano agli uomini.
E no, non è una casualità. È un sistema. Un sistema fatto di abitudini, di aspettative, di stereotipi ancora durissimi da scardinare. Nel Terzo Settore come altrove.
Leadership femminile e ostacoli invisibili
Molte donne si trovano davanti a un bivio costante: essere leader o essere “accettate”. Perché chi si mostra assertiva, decisa, competente, viene spesso percepita come “fredda” o “antipatica”. E in più si aggiunge la questione, ancora troppo sottovalutata, del carico di cura. In molte realtà non profit – spesso poco strutturate e con risorse ridotte – non esistono politiche di conciliazione reali. Così chi ha figli o familiari da accudire, deve scegliere: o la carriera, o la famiglia.
Dati, non buone intenzioni
In questo scenario, parlare di parità di genere come valore è utile, ma insufficiente. Serve agire. Non con grandi proclami, ma con azioni concrete, piccole, misurabili.
La prima? Guardarsi dentro. Quante donne siedono nei board della tua organizzazione? Chi prende le decisioni? Chi firma i contratti? Questi numeri dicono molto più di qualsiasi dichiarazione d’intenti.
Poi c’è il nodo delle retribuzioni. Qui spesso cala il silenzio. Ma in molte realtà esistono differenze retributive a parità di ruolo. Non perché ci sia cattiva fede. Semplicemente perché non se ne parla. E quando non si parla di qualcosa, quella cosa non cambia.
Si può cambiare, e si deve
C’è chi ha iniziato ad affrontare la questione mettendo in campo strumenti semplici: orari flessibili, smart working, formazione interna su stereotipi e linguaggio, mentoring tra donne, revisione dei processi di avanzamento. E soprattutto: raccolta di dati. Perché senza numeri, tutto resta percezione. E la percezione, spesso, sbaglia.
Ma non serve rifondare l’intera organizzazione per iniziare. Serve decidere che questo tema conta. Che non è “un’aggiunta” ai valori del non profit, ma ne è il cuore.
La coerenza è il nuovo attivismo
Perché una cosa è certa: un’organizzazione che predica giustizia ma ignora le disuguaglianze interne perde autorevolezza. E smette di essere un modello.
Al contrario, quando si lavora davvero sulla parità – quando si aprono spazi, si danno opportunità, si riconosce il merito a prescindere dal genere – succede qualcosa. Le persone si fidano di più. Si sentono riconosciute. E lavorano meglio.
Il Terzo Settore ha tutte le carte in regola per diventare un laboratorio di equità. Ma per farlo deve scegliere. Non bastano i documenti, i valori, i loghi arcobaleno. Serve quella cosa rara che trasforma le buone intenzioni in impatto reale: la coerenza.