Multitasking e curiosi: chi sono i professionisti del lavoro sociale? Intervista a Eleonora Ferraro

Come cambiano le professioni del lavoro sociale? In un mercato sempre più competitivo e specializzato, le definizioni stanno strette e i professionisti devono avere un approccio sempre più multidisciplinare.

Abbiamo incontrato Eleonora Ferraro: professionista del lavoro sociale e blogger. Lei, il lavoro sociale lo fa da oltre 10 anni. E, da circa un anno, ha deciso di raccontarlo tramite il suo blog: L’Aiuto qui e ora.

Ciao Eleonora, ti definisci una professionista del lavoro sociale, cosa significa esattamente?

Il termine vuole mettere insieme le mie diverse anime professionali: sono laureata in servizio sociale, ma non sono iscritta all’albo, lavoro da una decina di anni nel privato sociale dove mi sono occupata di persone con differenti caratteristiche: italiani, stranieri, senza fissa dimora, persone con problemi di dipendenza, nuclei familiari. Ho avuto la possibilità di apprendere da molti miei colleghi con formazioni diverse: psicologi, educatori, infermieri, medici, oss.

Inoltre, sono una coach di stampo umanistico e una mediatrice dei conflitti, in questi anni ho fatto tantissime formazioni che mi hanno permesso di conoscere e sperimentare nuovi metodi.

Quindi hai una formazione da assistente sociale, ma di fatto stai svolgendo una professione che mette insieme diverse competenze come ad esempio quella dell’educazione?

Sì, è corretto. Metto insieme diverse competenze e diversi metodi.

Quali sono i principali ambiti di intervento?

In questo momento nel privato sociale gli interventi più richiesti sono a favore di richiedenti asilo e rifugiati, anche se sicuramente nei prossimi anni questo un tipo di lavoro andrà a ridursi, soprattutto per chi lavora nelle strutture straordinarie.

Un ambito su cui si punta sempre è quello delle famiglie in generale, dunque nuclei in difficoltà, componenti disabili, separazioni conflittuali, maltrattamenti e interventi con adolescenti. Un altro ambito in cui l’utenza non manca mai è quello carcerario, ma spesso gli investimenti non sono sufficienti.

In realtà la mancanza di investimenti è un aspetto trasversale ai diversi ambiti di intervento

Quali sono le competenze imprescindibili per intraprendere questa carriera?

Prima di tutto è necessario avere un’inclinazione verso le persone, avere una mente aperta e flessibile, capacità di ascolto e, secondo me, anche la curiosità: non dare nulla per scontato. Queste sono capacità di base che possono essere incrementate e allenate nel tempo.

Dal punto di vista della formazione, cosa non deve mancare?

La formazione deve essere innanzitutto continua. La formazione universitaria offre una preparazione molto ampia a 360 gradi, poi, a seconda di dove si va a lavorare, ci si specializza su alcuni temi più specifici. Il primo consiglio che do, tuttavia, è non abbandonare mai completamente altre tematiche, ma cercare di mantenere ampi i propri orizzonti. Ad esempio, quando lavoravo con persone con problemi di dipendenza, non ho smesso di aggiornarmi su quello che accadeva nel mondo dell’immigrazione e delle famiglie.

Altro aspetto fondamentale nella formazione è scegliere la propria strada. Dobbiamo capire cosa ci interessa e quali sono gli approcci e i metodi che fanno al caso nostro. Insomma, il percorso che, più di altri, ci sta bene cucito addosso.

Cosa consiglieresti a un giovane che vuole intraprendere questa carriera?

Consiglio di non dare mai nulla per scontato, di continuare a stupirsi e di essere innovativi. Consiglio di imparare fin da subito ad ascoltarsi, perché quello nel sociale è un lavoro che dà molto, ma a volte toglie anche molto. Il rischio del burnout esiste ed è bene prevenirlo, anche attraverso supervisioni.

A un certo punto hai deciso di aprire un blog…

Sì, ho deciso di fare in pubblico quello che mi trovavo, a volte, a fare con amici e conoscenti: raccontare il mondo del sociale. Cosa fa chi lavora nel sociale? Cosa significa il lavoro sociale?

Cerco di raccontare il nostro lavoro in modo semplice, per arrivare anche ai non addetti ai lavori.

Ma, soprattutto, cerco di fare informazione corretta. Anche facendo emergere le criticità e gli errori di noi operatori, certamente. Perché la correttezza di informazioni fa bene a tutti.

Inoltre mi rivolgo anche agli addetti ai lavori. Cerco di dar loro spunti su nuovi metodi, strumenti o tematiche di interesse.

Da dove è nata l’idea?

Ho iniziato un percorso di coaching, che mi ha aiutato a capire che strada intraprendere. Dopodiché ho iniziato a frequentare diversi corsi, per conoscere meglio le dinamiche di comunicazione, social media management e web marketing. In più, ho iniziato a formarmi anche in merito all’utilizzo dei principali applicativi: da WordPress per il blogging, a MailChimp per l’email marketing.

Il punto di partenza è stato il mio profilo Linkedin: l’avevo sempre utilizzato in modo freddo e algido, come un anonimo CV in formato europeo. L’ho riscritto daccapo, mi sono raccontata di più e ho iniziato a interagire con professionisti e community di settore.

In un secondo momento ho aperto la pagina Facebook: l’Aiuto qui e ora. E, infine, sono sbarcata su Instagram, per comunicare anche con i più giovani.

Nel giro di poco, sono iniziate ad arrivare le prime richieste di collaborazione. Per dare un’idea: in due mesi, mi sono trovata ad essere io a scegliere quale offerta di lavoro fosse più vantaggiosa e stimolante per me. Ha ribaltato completamente la mia prospettiva.

Piano piano ho costruito la mia reputazione on line e oggi, a distanza di un anno, posso dichiararmi pienamente soddisfatta. Grazie allo sviluppo di questa strategia ho avviato molte collaborazioni: ho fatto la formatrice, ho vinto un contest sulla comunicazione e a breve inizierà un progetto di coaching in carcere.

E ho anche un contratto quasi full time, che non ho nessuna intenzione di lasciare.

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