Gli stage in Italia: tra tutele, dubbi e sfide per il futuro

Spesso gli stage rappresentano la prima vera opportunità per entrare – o rientrare – nel mondo del lavoro. L’Anpal (Agenzia Nazionale politiche attive del lavoro) descrive il tirocinio come “un’esperienza di formazione in un contesto produttivo che non si configura come un rapporto di lavoro”.

Nel suo ultimo rapporto di monitoraggio (2021), l’Anpal mostra l’andamento delle attivazioni dei tirocini che si attesta sui 330.000 (dati in linea con quelli pre-pandemici), soprattutto per under 30 (77%) e disoccupati o in cerca di prima occupazione (74,2%), coerentemente con la natura dello strumento. Il 15,3% dei tirocini totali sono stati avviati nel Terzo Settore.

Le tutele dei tirocinanti

I tirocini formativi e di orientamento sono stati istituiti con l’art. 18 della Legge 196/971, e poi disciplinati con il Decreto ministeriale 142/98. Nel 2013 le Regioni adottano le Linee guida in materia di tirocini che dividono quelli extracurriculari in formativi (per neolaureati), inserimento (per disoccupati) e orientamento (per persone svantaggiate). Inoltre vengono dettagliati i compiti e le procedure per i soggetti promotori e ospitanti, parlando di attestazione finale con le attività svolte e le competenze per la trasparenza e introducendo il divieto di utilizzare i tirocinanti per ricoprire ruoli necessari o per sostituire il personale, e l’indennità minima di 300 euro con controlli e monitoraggi annuali.

Dubbi

La percentuale maggiore dei tirocini si trova nella fascia d’età 20-24 (35,2%) con una differenza di genere pressoché nulla, che però aumenta di quasi 10 punti percentuali per la fascia 25-29 (25,6% in totale). Inoltre, al Sud-Italia troviamo la quota più elevata di tirocini destinati all’inserimento lavorativo, con valori che, nelle isole, superano di 6 punti percentuali il dato medio nazionale.

Per quanto riguarda l’inserimento lavorativo al termine dei tirocini, dopo un mese l’attivazione di un contratto di lavoro avviene per il 39,3%, 45,3% dopo i primi 3 mesi e 48,9% dopo sei mesi: nel 59,7% dei casi l’assunzione è avvenuta presso lo stesso datore che ha ospitato il tirocinio. Il tasso di inserimento dopo un mese passa dal 43,2% del Nord al 32,1% del Sud e al 28,7% delle Isole, con gli stessi tassi che si alzano di 10 punti percentuali per quanto riguarda l’inserimento dopo 6 mesi.

I contratti di lavoro che vanno per la maggiore dopo la fine del tirocinio sono quelli a Tempo Determinato (39,4%) e l’Apprendistato (34,8%), con un generale mantenimento delle competenze (79%) se si lavora nello stesso datore di lavoro (contro un 60% di datore diverso), mentre per la crescita delle skills si hanno dato più bassi (8,9% con lo stesso datore, 15,1% con datore diverso).

Sfide per il futuro

Soprattutto tra millennials e Gen Z, gli stage hanno una doppia faccia: possono essere un’opportunità importante di inserimento nel mondo del lavoro (se retribuiti e atti veramente alla formazione), ma anche una forma di sfruttamento, in cui aziende ed enti usano tirocinanti per avere manodopera a basso costo.

Inoltre, i dati sopra mostrano la necessità non solo di migliorare le varie disparità territoriali e di genere, ma anche di aumentare maggiormente le assunzioni al termine dei tirocini. Inoltre il dato di interruzioni è in aumento attestandosi al 36%, soprattutto per volere dei tirocinanti: come mai?

Per il futuro ci auguriamo una maggiore regolamentazione (e monitoraggio) per garantire tutele e rispetto di ogni tipo di tirocinio e diminuire drasticamente la precarietà che caratterizza questo tipo di contratti.


Fonti:

 

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