Cooperazione internazionale: l’esperienza di chi l’ha vissuta
Tutto è iniziato con un viaggio nei Balcani, a 19 anni, tramite un progetto di turismo sostenibile.
Federica Dadone ci ha raccontato la sua esperienza di cooperante internazionale. Un percorso professionale iniziato con Noma Frontiera e che non è solo un lavoro, ma soprattutto passione e sperimentazione.
Ciao Federica. Ci spieghi cosa fa il cooperante?
È difficile oggi mettere delle etichette precise. Si tratta di una figura professionale che deve essere pronta a essere multitasking, almeno per quanto riguarda le piccole Ong.
Un cooperante deve essere pronto a operare sul campo, ma anche di cercare bandi, redigere progetti e rendicontare. Insomma, non è un lavoro statico. Certo, nelle grandi organizzazioni, è una figura più strutturata, ma spesso anche molto professionalizzata in altri ambiti: medici, ingegneri, agronomi.
Tu come hai iniziato?
Ho lavorato per tanti anni nei Balcani, soprattutto in Bosnia, nel territorio di Srebrenica. Facevo parte del direttivo di Nema Frontiera, che significa nessuna frontiera, un mix tra serbo-croato e italiano. L’organizzazione, dal 2012, non è più operativa, ma ha operato sul campo per quasi dieci anni.
Parlaci dei vostri progetti
Il nostro lavoro si svolgeva in più fasi. Quella prettamente operativa riguardava l’organizzazione di campi estivi in alcuni villaggi della Bosnia. Raccoglievamo anche materiale scolastico da distribuire alle famiglie più in difficoltà. Ma non eravamo soli. Abbiamo costruito una rete, con partner e associazioni locali, con quale collaboravamo. Questo tipo di networking è fondamentale nella cooperazione, perché l’associazionismo locale ti permette di conoscere quali sono i villaggi e le famiglie che hanno più bisogno. E quindi dove intervenire maggiormente.
In Italia, invece, facevamo fundraising e creavamo relazioni con istituzioni e volontari. Per un certo periodo abbiamo anche collaborato con il Comune di Torino, per la realizzazione di alcuni progetti. Poi non è stato più possibile, perché sono sempre meno le amministrazioni pubbliche che possono permettersi di stanziare fondi per i progetti. Quindi tocca tirarsi su le maniche e cercare altrove.
Per questo motivo, il lavoro del cooperante non si limita solamente all’operatività sul campo. Bisogna saper districarsi in tutto ciò che riguarda il mondo del non profit.
Che tipo di formazione ci vuole?
Parlo della mia esperienza. Io ho studiato Cooperazione e Sviluppo, alla facoltà di Scienze Politiche di Torino. E mi sono specializzata in Scienze Internazionali. Ma ancora oggi, ritengo che la formazione migliore me l’abbia data la mia esperienza sul campo.
Lo slogan della facoltà di Scienze Politiche, all’epoca, era la facoltà di capire il mondo. Ed è vero, mi ha fornito una solida formazione teorica. Ma senza toccare con mano il lavoro non sarei riuscita a trovare la mia strada come cooperante.
(Vedi le posizioni aperte all’estero in questo momento su J4g)
Credi che il volontariato possa essere utile, in questo senso?
Certamente! Quando abbiamo iniziato eravamo tutti noi dei volontari. Ci ha permesso di fare esperienza e di conoscere da vicino il lavoro. E poi è una componente di valore all’interno del cv.
Dal punto di vista delle competenze specifiche, invece, cosa non deve mancare a un cooperante?
Deve adattarsi. C’è un’intensa attività dietro le quinte, oltre al lavoro sul campo. Ci vanno competenze relazionali, per creare una rete di contatti e collaborazioni. Competenze finanziarie per la rendicontazione dei progetti. E anche di fundraising e organizzazione eventi. Non bisogna essere statici, insomma.
Ti faccio un esempio. Io sono riuscita a far coincidere le mie passioni: cooperazione, non profit e comunicazione. Durante gli studi ho avuto la possibilità di fare uno stage all’ufficio stampa dell’Ambasciata di Belgrado. E da allora ho cercato di coniugare queste mie diverse anime.
Tutt’ora mi occupo anche di comunicazione applicata al sociale, per Altera, associazione di divulgazione culturale torinese e Trepuntozero, che invece opera nella lotta alle discriminazioni e al razzismo. Inoltre, sono caporedattrice di WOTS una piattaforma che promuove l’informazione, la divulgazione accademica e il dialogo tra differenti attori sociali in quattro aree tematiche: cittadinanze e diritti umani, ambiente e territorio, economia sociale e solidale, comunità internazionale.
Che consigli ti senti di dare a chi vuole diventare un cooperante?
Tre consigli. Innanzi tutto, studiate quello che vi piace. Può sembrare che gli sbocchi professionali non siano immediati, ma se una persona ci mette passione, le opportunità arrivano. In secondo luogo, non restate fermi: cercate di differenziare le vostre competenze, ormai non esistono più professionalità cristallizzate. Infine, durante l’università, cercate di crearvi il vostro bagaglio di esperienze con attività extra-universitarie: volontariato, stage o formazione alternativa.
Più in generale: cercate di sperimentare tanto, tante cose diverse. La sperimentazione è la strada principale per capire cosa, davvero, vogliamo essere.